














Testo di Daniele Capra Vi sono differenti modi per strutturare una mostra e scegliere le opere che ve ne fanno parte. Uno tra i più usati è quella della vicinanza tematica e concettuale: sono cioè le ragioni che hanno prodotto i lavori e i contenuti che essi esprimono a tenerli insieme facendone un tutt'uno. Un altro è quello delle affinità di ordine materiale, che spaziano dall’aver condiviso la medesima scuola all’impiego dello stesso strumento espressivo, come ad esempio la pittura, la fotografia o la performance. Ma ve ne è uno ulteriore, di derivazione letteraria, basato invece sulla rappresentatività e la significatività delle opere dell’autore selezionate rispetto alla globalità della sua produzione: si tratta del florilegio, ossia una scelta realizzata a favore del pubblico in modo da tracciare un sintesi, con margini di soggettività piuttosto elevati, in grado di evidenziare gli elementi di forza e di particolare valore. Florilegio deriva dal latino rinascimentale florilegium, parola ottenuta componendo flos, floris «fiore», e legĕre «cogliere», con l’idea di raccogliere e mettere insieme un insieme di elementi di particolare bellezza o intensità. Il sostantivo è un calco del greco ανθολογία (anthologia), di cui ha la medesima accezione, e la prima testimonianza certa della sua presenza è del 1503, quando l’editore Aldo Manuzio pubblica a Venezia il Florilegium diversorum epigrammatum in septem libros. Florilegio propone una selezione di lavori di Francesca De Pieri. La modalità antologica realizza un campionamento all’interno della produzione e favorisce l’enucleazione dei temi iconografico-concettuali e degli approcci da parte di ciascuna artista, senza il rischio di dispersione su elementi secondari. Florilegio compie una ricognizione a partire dalla complessa sovrapposizione di accadimenti visivi che gli occhi registrano e di immagini che si creano nella mente con accostamenti dal gusto surreale. In particolare la mostra evidenzia come la stratificazione di immagini – sia grazie all’impiego della registrazione fotografica su supporto in resina, che per giustapposizione di visioni realizzate attraverso l’impiego del disegno di matrice figurativa – possa essere un ineguagliabile strumento di lettura della realtà. De Pieri ha sviluppato nella propria pratica artistica in una modalità di costruzione dell’immagine, basata rispettivamente sul rimescolamento dei campionamenti realizzati attraverso la fotografia e sull’elaborazione di diversi leitmotiv visivi (come boschi e strutture geometriche), che vengono successivamente ricomposti sulla superficie. Potremmo definire l’ordinamento come diacronico, con uno sviluppo quindi attraverso un prima ed un dopo visivo che si concretizza giocoforza con una sovrapposizione. Piante, alberi, fiori e ritagli di giardini o di paesaggio sono i soggetti privilegiati di Francesca De Pieri, che nella serie Sphere, compie una ricerca in cui vanno insieme immagine fotografica e scultura. L’artista assembla infatti le foto che lei stessa realizza organizzandole in layers che sono depositati su resina trasparente dalla forma semisferica. Grandi poco più di tredici centimetri, tali calotte ricordano le palle di vetro con neve dall’ammaliante magia che hanno affascinato tanti bambini e tanti sognatori ad occhi aperti. Nonostante il soggetto naturale particolarmente icastico e la florida vivezza cromatica delle semisfere, le opere hanno una forte carica di intimità, dovuta alla dimensione ridotta dell’opera che spinge l’osservatore verso una visione da vicino, come si fa con un gioiello o un attimo che si scopre brillare, all’improvviso, in un angolo dimenticato di una soffitta buia.