C'era una volta
Paesaggio e Memoria si intrecciano da sempre nella ricerca di Francesca, elementi della riflessione personale prima ancora di quella artistica. La ricerca fotografica di Francesca si sviluppa attraverso il suo legame con il territorio veneto, derivato soprattutto dalla figura paterna, lavoratore nelle fabbriche di Marghera. Paesaggio e Memoria hanno sempre una doppia valenza: come in una scatola cinese, l’uno contiene al suo interno l’altra, senza soluzione di continuità, così che l’uno risvegli nella mente l’altra. Memoria collettiva e personale si fondono nei lavori di Francesca, sullo sfondo dei territori appena fuori Venezia, storie appena accennate fatte di esperienze impresse nella terra, segni e silhouettes che svaniscono nel tempo, vite vissute tra un patrimonio storico e artistico ed uno industriale, entrambi in declino. Il progetto “C’era una volta” racchiude già nel titolo tutta la nostalgia per un periodo della nostra vita, l’infanzia, in cui ci sentivamo al sicuro, protetti da un ambiente che garantiva cultura e lavoro. Le fotografie presentate da Francesca sono scatti rubati all’interno di alcune ville nobiliari, ora abbandonate, costruite lungo le rive della Riviera del Brenta, zona ad altissimo valore storico-paesaggistico che comprende moltissime ville appartenute a famiglie patrizie veneziane. Solo poche di esse, però, sono tuttora in uso; la gran parte si trova in stato di abbandono per mancanza di fondi o, peggio, di idee. Facciate bianche nascondono corti e giardini in cui la vegetazione ha preso il sopravvento, diventando la vera padrona di casa, statue mangiate dal tempo e dalle intemperie. E, sullo sfondo, i fumi delle ciminiere delle fabbriche. È ironico aggirarsi per i giardini e sentirsi spiati da figure in pietra senza testa, donne in posa che si scaldano al sole coperte di muschio, mentre le uniche piante a non aver invaso gli spazi sono quelle affrescate sulle pareti interne. Francesca fotografa poi scompone la realtà in piccoli tasselli, per ricomporla come in un puzzle, analizzandone i singoli pezzi per fissarne ognuno nella mente. Un grande murales mostra quella che un tempo era una serra, in cui la vegetazione ha reso identici esterno e interno. Accanto ad esso, altre fotografie, che riprendono la tecnica della doppia stampa sovrapposta tipica dei Memory box dell’artista, mostrano dettagli del giardino e della villa, come fossero tessere sottratte ad un mosaico enorme. Il risultato è una composizione globale in cui ogni pezzo ha vita propria ed ognuno concorre, però, a dare senso all’insieme, come fossero frammenti di un progetto più grande. In un territorio in cui le fabbriche hanno segnato le persone e le loro famiglie, il lento declino del patrimonio storico va ad aggiungersi a ciò che rimane soltanto nei ricordi, ennesima tessera di un mosaico costruito sull’enigma della memoria personale, per il monitoraggio della memoria collettiva. Annalisa Bergo, Fabbrica Borroni, Bollate